Il tema delle pensioni dà sempre delle grandi preoccupazioni: ormai i nodi da sciogliere sono tanti e non si sa se una sola legislatura basterà. Nel 2027 potrebbe cambiare davvero tutto ma non in meglio.
Sono quasi 3 anni che si parla di una riforma strutturale delle pensioni che mandi definitivamente “in pensione” la Legge Fornero. Fino ad oggi, però, non è stato possibile fare questo passo per mancanza di adeguate risorse economiche nelle casse dell’Inps. Infatti andare oltre la Fornero ed eliminare l’età pensionabile significherebbe mettere a rischio l’intero sistema di previdenza sociale.

Abolita l’età di vecchiaia per dire addio al lavoro, le uscite di massa sarebbero troppe: troppi gli assegni che l’Inps si troverebbe ad erogare e, la maggior parte di essi, calcolati ancora con il sistema misto che è decisamente più oneroso rispetto al sistema contributivo puro.
Non solo la legge Fornero, dunque, non è stata abolita ma, essendo ancora in vigore, si prevede che tra due anni – nel 2027 – l’età pensionabile faccia un ulteriore balzo in avanti di 3 mesi anche se il Governo di Giorgia Meloni sembra intenzionato a fermare tutto. Una cosa è certa: nel 2027 moltissime cose potrebbero cambiare ma non necessariamente a nostro vantaggio.
Pensioni: ecco cosa potrebbe cambiare nel 2027
Mancano sollo due anni al 2027 e tutti temiamo il peggio per quel che riguarda le pensioni. C’è chi pensa ad una riforma strutturale e chi, al contrario, pensa che non cambierà un granché rispetto ad ora ma aumenterà ulteriormente l’età di uscita dal lavoro. In tutto questo chi ha ragione?

Tutti e nessuno! Se il Governo di Giorgia Meloni non interviene e non modifica la Legge Fornero, nel 2027, effettivamente, l’età per accedere alla pensione di vecchiaia passerà dagli attuali 67 anni a 67 anni e 3 mesi per adeguarsi all’aumento dell’aspettativa di vita. Se invece interverrà l’età resterà ferma a 67 anni ma potrebbero essere apportate anche altre modifiche.
Nello specifico potrebbero essere rivisti i requisiti per la pensione di vecchiaia stessa: non più a 67 anni ma maggiore flessibilità, la possibilità di uscire dal lavoro nella fascia compresa tra i 64 e i 71 anni con minimo 25 anni di contributi però. Dunque prima cattiva notizia: questa flessibilità la pagheremmo con un aumento di 5 anni dei contributi necessari per ricevere l’assegno Inps.
Ma non solo: seguendo la linea della flessibilità, chi sceglierà di lasciare il lavoro prima dei 67 anni dovrà accettare forti penalizzazioni sull’assegno, tagli che potrebbero addirittura superare il 30%. Al contrario verrebbero premiati quegli impiegati virtuosi che decideranno di restare alla scrivania anche oltre i 67, magari fino a 71.
Il futuro sembra questo: potremo scegliere ma se sceglieremo di ritirarci prima dovremo accontentarci di una pensione misera, forse persino insufficiente per arrivare alla fine del mese nonostante i nostri 25 anni di lavoro. E, come se non bastasse, più lavoratori sceglieranno di ritardare la pensione, più aumenterà la disoccupazione tra i giovani. Per il momento si tratta solo di ipotesi, di previsioni, non vi è nulla di certo ma i motivi per cui dovremmo già iniziare a preoccuparci non mancano: anzi, sono fin troppi.